In matematica, in particolare in algebra lineare, un autovettore di una funzione tra spazi vettoriali è un vettore non nullo la cui immagine è il vettore stesso moltiplicato per uno scalare detto autovalore.[1] Se la funzione è lineare, gli autovettori aventi in comune lo stesso autovalore, insieme con il vettore nullo, formano uno spazio vettoriale, detto autospazio.[2] La nozione di autovettore viene generalizzata dal concetto di vettore radicale o autovettore generalizzato.
I concetti di autovettore e autovalore sono utilizzati in molti settori della matematica e della fisica; il problema della ricerca degli autovalori di una funzione lineare corrisponde alla sua diagonalizzazione. Se un autovettore è una funzione, si parla di autofunzione; per esempio in meccanica classica è molto comune considerare la funzione esponenziale come autofunzione della derivata. Formalismi di questo tipo consentono di descrivere molti problemi relativi ad un sistema fisico: ad esempio, i modi di vibrazione di un corpo rigido o i livelli energetici degli orbitali atomici e molecolari sono associati ad autovettori (autostati) di funzioni (osservabili) che ne determinano la dinamica.
Il termine autovettore è stato tradotto dalla parola tedesca Eigenvektor, coniata da David Hilbert nel 1904. Eigen significa "proprio", "caratteristico". Analogamente il prefisso auto- usato nella versione italiana non è abbreviazione di "automatico", bensì è preso dal greco autós con significato "di sé stesso". Nella letteratura italiana si trova spesso l'autovettore indicato come vettore proprio, vettore caratteristico o vettore latente.