Curzio Malaparte (all'anagrafe Curt Erich Suckert[1]; Prato, 9 giugno 1898 – Roma, 19 luglio 1957) è stato uno scrittore, giornalista, militare, poeta e saggista italiano, nonché diplomatico, agente segreto, sceneggiatore, inviato speciale e regista cinematografico, una delle figure centrali dell'espressionismo letterario in Italia e del neorealismo.
È particolarmente noto, anche fuori dall'Italia[2], per i suoi romanzi Kaputt e La pelle, opere a sfondo autobiografico basate sulla sua esperienza di giornalista e ufficiale durante la prima e la seconda guerra mondiale, e per il saggio Maledetti toscani.
Scrittore dallo stile realistico e «immaginifico»[3], fu definito come «cinico e compassionevole» al tempo stesso[4] e talvolta avvicinato alle tematiche e allo stile espressionista crudo di Louis-Ferdinand Céline[5] con cui ebbe un'amicizia epistolare[6].
Come intellettuale fu dapprima un sostenitore del fascismo, poi una voce critica e un oppositore dello stesso. Caratteristica della sua letteratura è la mescolanza di fatti reali - lo scrittore è stato infatti avvicinato alla corrente del neorealismo -, spesso autobiografici, ad altri immaginari, talvolta esagerati in maniera voluta e consapevole, fino al farsesco, specialmente quando deve denunciare le atrocità della seconda guerra mondiale.[7][8] Interventista e volontario nella Grande Guerra, ammiratore di Mussolini e "fascista della prima ora", partecipò alla marcia su Roma e fu attivo nelle posizioni di fascismo di sinistra intransigente, sostenendo la cosiddetta rivoluzione fascista; allontanatosi gradualmente dal regime (fu anche mandato al confino, da cui uscì grazie all'amicizia con Galeazzo Ciano, genero del Duce), dopo l'8 settembre 1943 si arruolò nell'Esercito Cobelligerante Italiano del Regno d'Italia e collaborò con gli Alleati (cui pure non risparmiò pesanti critiche) nel Counter Intelligence Corps nella lotta contro i nazisti e i fascisti della RSI. Prima anticomunista, nel secondo dopoguerra si avvicinò al Partito Comunista Italiano, grazie all'interessamento di Palmiro Togliatti che lo assunse come cronista, sebbene molti dubitassero della effettiva sua adesione, o avvicinamento, al PCI (e contemporaneamente al Partito Repubblicano Italiano, a cui già aderiva da giovanissimo, al quale si iscrisse poco prima di morire).[7][9] Morì dopo essersi convertito in punto di morte alla Chiesa cattolica, assistito dai sacerdoti padre Cappello e padre Rotondi, secondo le testimonianze di questi.[10][11][12]
Lo pseudonimo, che usò dal 1925, fu da lui ideato come umoristica paronomasia basata sul cognome "Bonaparte". Famoso per il suo camaleontismo[13], si soprannominò e venne soprannominato l'"Arcitaliano", per avere racchiuso nella sua complessa e contraddittoria personalità molti difetti e pregi degli italiani.[14][15][16]
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