Napoletano Napulitano | |
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Parlato in | Italia |
Parlato in | Campania |
Tassonomia | |
Filogenesi | Lingue indoeuropee Italiche Romanze Italo-occidentali Dialetti italiani meridionali Dialetti campani Napoletano |
Codici di classificazione | |
Glottolog | napo1241 (EN)
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Linguasphere | 51-AAA-rb
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Estratto in lingua | |
Tutt'e cristiane nascene libbere e ch'e stisse dignità e deritte; tenene cerevielle e cuscienza e hann'a faticà ll'uno cu ll'ate comme si fossere frate. | |
Giovan Battista Pellegrini, La Carta dei Dialetti d'Italia: il dialetto napoletano è indicato come IVb. | |
Il dialetto napoletano (napulitano) è una variante diatopica del gruppo italiano meridionale delle lingue romanze parlata a Napoli e in aree della Campania non molto distanti dal capoluogo, corrispondenti approssimativamente all'attuale città metropolitana di Napoli e ai contigui agro aversano e agro nocerino-sarnese, rispettivamente parte delle province di Caserta e di Salerno.
Il termine dialetto napoletano non è sinonimo di lingua napoletana (individuata dalla classificazione ISO 639-3 attraverso il codice nap e che Ethnologue definisce "lingua napoletano-calabrese"[1]), la quale costituisce invece uno storico idioma sovraregionale basato essenzialmente sull'antica forma vernacolare napoletana (o, più in generale, meridionale) in uso all'interno del Regno di Napoli, ove in una certa fase ha avuto anche valore ufficiale.[2]
Comunque il volgare pugliese,[3][4] altro nome con cui sono storicamente conosciuti il napoletano e i dialetti meridionali,[5] nella sua forma letteraria (e alternandosi in tale ruolo con il volgare toscano),[6] finì col sostituire parzialmente il latino nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli,[7] dall'unificazione delle Due Sicilie per decreto di Alfonso I, nel 1442; e continuò ad evolvere parallelamente all'ambito letterario nella sua forma parlata.[8]
Posteriormente però, già a partire dal 1501,[9] per volere degli stessi letterati locali dell'Accademia Pontaniana, il suddetto idioma cominciò ad essere, in ambiti amministrativi e diplomatici, progressivamente sostituito — e dal 1554, per volontà del cardinale Girolamo Seripando, lo fu in maniera definitiva — dall'italiano, basato sul volgare toscano,[4] (presente già da tempo in contesti letterari, di studio e relativi alla cancelleria, insieme al latino),[10] il quale, dalla metà del XVI secolo, è usato come lingua ufficiale e amministrativa di tutti gli Stati italiani preunitari (con l'unica eccezione del Regno di Sardegna insulare, dove l'italiano standard assunse tale posizione a partire dal XVIII secolo), e successivamente dell'Italia stessa, fino all'attualità.[11]
Il volgare napoletano, nella sua forma letteraria (intesa come varietà colta ed esclusivamente scritta, ad esempio, quella utilizzata da Giambattista Basile ne Lo cunto de li cunti, overo lo trattenemiento de peccerille, da non confondersi dunque con il dialetto napoletano) ha,[12] in alcune epoche, fatto da ponte fra il pensiero dell'antichità classica e quello moderno, rinascimentale e barocco, fra le culture dell'Europa meridionale e dell'oriente bizantino e quelle dell'Europa settentrionale, spaziando dall'«amor cortese» — che con la Scuola siciliana diffuse il platonismo nella poesia occidentale — al tragicomico (Vaiasseide, Pulcinella)[13] e alla tradizione popolare; in napoletano sono state inoltre raccolte, per la prima volta, le fiabe più celebri della cultura europea moderna, da Cenerentola alla Bella addormentata, nonché storie in cui compare la figura del Gatto mammone.[14]