Fedone

Disambiguazione – Se stai cercando il filosofo che dà il nome al dialogo platonico, vedi Fedone di Elide.
Fedone
Titolo originaleΦαίδων
Altri titoliSull'anima
D.N. Chodowiecki, Morte di Socrate (XVIII-XIX secolo)
AutorePlatone
1ª ed. originaleIV secolo a.C.
Generedialogo
Sottogenerefilosofico
Lingua originalegreco antico
PersonaggiSocrate, Fedone, Echecrate, Critone, Simmia, Cebète, il messo degli Undici, il carceriere, vari altri discepoli socratici
SerieDialoghi platonici, I tetralogia
(EL)

«Αὐτός, ὦ Φαίδων, παρεγένου Σωκράτει ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ ᾗ τὸ φάρμακον ἔπιεν ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ, ἢ ἄλλου του ἤκουσας;»

(IT)

«Tu c'eri, Fedone, insieme a Socrate quel giorno in cui egli bevve il veleno nella prigione? O hai sentito da qualcun altro [il racconto di quegli avvenimenti]?»

Il Fedone (in greco antico: Φαίδων?, Phàidōn) è uno dei più celebri dialoghi di Platone. Ultimo dialogo della prima tetralogia di Trasillo, sembrerebbe un dialogo giovanile del filosofo, anche in considerazione del contesto in cui si svolge (la morte di Socrate). Lo studio stilistico dell'opera, tuttavia, più narrativa che dialogica, motiva alcuni studiosi ad assegnare l'opera al periodo della maturità.[1]

L'accordo sulla datazione (386-385 a.C.) dipenderebbe principalmente da due elementi: il forte condizionamento pitagorico della discussione, che fa pensare a una composizione prossima al primo viaggio siciliano e ai contatti con la comunità pitagorica di Archìta, ma anche l'assenza di esplicite intenzioni pedagogiche, che spinge a ritenere il dialogo precedente alla fondazione dell'Accademia.

Ma già Diogene Laerzio cita un aneddoto (inventato ma significativo) secondo cui, durante la prima lettura del Fedone, l'uditorio composto da concittadini ateniesi, abituati ai dialoghi socratici (Λόγοι Σωκρατικοί), genere letterario sorto dopo la morte di Socrate a opera dei tanti discepoli) avrebbe abbandonato il luogo della lettura (non riconoscendo il personaggio), e ad ascoltare sino alla fine non sarebbe rimasto che un meteco: Aristotele.

Argomento centrale è l'immortalità dell'anima, in sostegno della quale Platone porta tre diverse argomentazioni: l'argomento degli opposti, la dottrina della reminiscenza (maggiormente approfondita nel Menone), l'argomento secondo il quale l'anima ha natura analoga a quella delle idee.

Platone, durante la discussione circa l'immortalità dell'anima, attribuisce a Socrate una frase che contraddice le teorie del suo maestro: Socrate, infatti, secondo la maggior parte delle fonti, attribuisce alla ragione-parola (il logos) la capacità di raggiungere ogni verità; nel dialogo invece egli ammette che la ragione abbia dei limiti nel caso proprio della certezza dell'immortalità dell'anima, annullando così di fatto tutte le sue precedenti concezioni filosofiche:

«Quando voi le avrete analizzate a fondo, solo allora, credo, potrete cogliere il problema nei suoi sviluppi, per quanto sia possibile a un uomo; e quando ve ne sarete resi ben conto, non proseguirete più oltre nella vostra ricerca.»

Celeberrimo è il finale, dove Socrate, morente per aver ingerito un phàrmakon (secondo una discussa tradizione, la cicuta) e circondato dai suoi allievi piangenti, chiede al suo fidato amico Critone di ricordarsi di offrire un gallo ad Asclepio (il dio della medicina), in ringraziamento, come sostengono alcuni studiosi, per la liberazione dalla vita. In realtà son forse possibili interpretazioni più convincenti, dal momento che tutto il pensiero socratico mal si concilia con un'immagine per così dire buddista di Socrate. Georges Dumézil[2], per esempio, suggerisce quest'interpretazione: Critone e Socrate erano scampati a una malattia della mente, avendo tutt'e due carezzato l'idea della fuga; ma erano presto rinsaviti e non si erano sottratti alle leggi: questo sarebbe il debito che Socrate e Critone (ecco il perché di quel noi nelle parole del filosofo) hanno nei confronti di Asclepio.

  1. ^ L. Brandwood, Stylometry and chronology, in R. Kraut (a cura di), The Cambridge Companion to Plato, Cambridge, 1992, p. 109; e 115.
  2. ^ Georges Dumézil, «... Il monaco nero in grigio dentro Varennes», Adelphi 1987