Gascromatografia

Gascromatografo con affiancata unità di desorbimento termico per l'introduzione del campione, e generatore di idrogeno per l'alimentazione del rilevatore(FID).

La gascromatografia, nota anche come GC, è una tecnica cromatografica impiegata a scopo analitico, tecnica concepita per la prima volta da Archer John Porter Martin e Richard Laurence Millington Synge nel 1941[1], in funzione della diversa affinità di ogni sostanza della miscela con le fasi.

Strumentalmente, nella forma più elementare, è basata su un piccolo forno accuratamente termostatabile, in cui viene alloggiata la colonna cromatografica. Essa è sommariamente formata da un avvolgimento costituito da un sottile tubo capillare in vetro, lungo alcuni metri, sulle cui pareti interne è stato deposto un sottile strato della fase fissa (una sostanza sufficientemente stabile per cui la miscela da analizzare mostri un certo grado di affinità). Il campione viene introdotto con un flusso di gas inerte (He, H2, N2) ad una sua estremità, (dell'iniettore), e dopo un certo tempo i componenti separati fuoriescono col flusso di gas dall'estremità opposta (del sensore), ove è posto un opportuno rivelatore in grado di segnalarli.

Oggi con il termine gascromatografia si intende in realtà la precedentemente descritta gascromatografia ad alta risoluzione o HRGC (high resolution gas chromatography), cioè la gascromatografia con colonna capillare, tecnica introdotta agli inizi degli anni ottanta e che è praticamente oggi l'unica utilizzata. Precedentemente era in uso la gascromatografia con colonna impaccata (PGC, packed column gas chromatography), basata su colonnine di diametro maggiore, più corte, e con differenti caratteristiche, dalla cui geometria è stato coniato appunto il termine "colonna", attualmente utilizzato anche per i sottilissimi capillari oggi in uso.