Il Libro di Daniele (in ebraico דניאל?, Daniy'èl; in greco antico: Δανιήλ?, Danièl; in latino Daniel) è un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e nell'Antico Testamento di quella cristiana. È scritto in ebraico ma contiene una estesa sezione in aramaico (Dan 2,4-7,28[1]).
Il Canone ebraico annovera il libro di Daniele tra i Ketuvim, quello cristiano tra i libri profetici. Esso descrive alcune vicende ambientate nell'esilio di Babilonia (587-538 a.C.) del profeta Daniele, saggio ebreo che rimane fedele a Dio, e visioni apocalittiche preannuncianti il Figlio dell'Uomo-Messia e il regno di Dio.
Secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la redazione definitiva del libro avvenne in Giudea in epoca maccabea[2], circa al tempo della morte di Antioco IV Epifane, avvenuta nel 164 a.C.[3] Il libro, infatti, contiene riferimenti storici attribuibili all'età ellenistica dei Seleucidi e mostra, dal punto di vista letterario, caratteristiche ritenute tardive quali la presenza dei generi letterari haggadico e apocalittico[4] e, da quello teologico, un'angelologia molto sviluppata e la risurrezione corporea dei morti.
Le versioni greche (la "Settanta" e Teodozione) e la Peshitta siriaca contengono anche alcune sezioni assenti nel testo masoretico, per le quali si ipotizza un originale semitico: la preghiera di Azaria e il cantico dei tre giovani nella fornace, la storia di Susanna, Bel e il Drago.[3]