Nerone | |
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Imperatore romano | |
Busto di Nerone (Musei capitolini) | |
Nome originale | Lucius Domitius Ahenobarbus (alla nascita) Nero Claudius Caesar Drusus Germanicus (prima dell'ascesa al potere) Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus |
Regno | 13 ottobre 54 – 9 giugno 68 |
Tribunicia potestas | 14 anni: la prima volta (I) il 4 dicembre del 54 e poi rinnovatagli ogni anno, il 13 ottobre |
Titoli | Pater Patriae nel 55 |
Salutatio imperatoria | 13 volte: I (al momento dell'assunzione del potere imperiale) nel 54, (II) nel 56, (III-IV) nel 57, (V-VI) nel 58, (VII) nel 59, (VIII-IX) nel 61, (X) nel 64, (XI) nel 66 e (XII-XIII) nel 67 |
Nascita | 15 dicembre 37 Anzio |
Morte | 9 giugno 68 (30 anni) Roma |
Sepoltura | Colle Pincio presso la tomba di famiglia dei Domizii Ahenobarbi[1] |
Predecessore | Claudio |
Successore | Galba |
Coniuge | Claudia Ottavia (53 - 62, div.) Poppea (62 - 65, ved.) Statilia Messalina (66 - 68) |
Figli | da Poppea Claudia Augusta |
Dinastia | giulio-claudia |
Padre | Gneo Domizio Enobarbo |
Madre | Agrippina minore |
Consolato | 5 volte: nel 55, 57, 58, 60 e 68 |
Pontificato max | nel 55 |
Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (in latino Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus; Anzio, 15 dicembre 37 – Roma, 9 giugno 68), nato come Lucio Domizio Enobarbo (Lucius Domitius Ahenobarbus) e meglio conosciuto semplicemente come Nerone, è stato il quinto imperatore romano, l'ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. Regnò per quattordici anni[2], dal 54 al 68.
Nerone fu un principe molto controverso nella sua epoca; ebbe alcuni innegabili meriti, soprattutto nella prima parte del suo impero, quando governava con la madre Agrippina e con l'aiuto di Seneca, filosofo stoico, e di Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma fu anche responsabile di delitti e atteggiamenti dispotici.
Accusati sommariamente di congiure contro di lui o di crimini vari, caddero vittime della condotta repressiva la stessa madre, la prima moglie e lo stesso Seneca, costretto a suicidarsi, oltre a vari esponenti della nobiltà romana, e molti cristiani.[3] Per la sua politica assai favorevole al popolo, di cui conquistò i favori con elargizioni e istituendo spettacoli pubblici gratuiti, e il suo disprezzo per il Senato romano, fu - come era già stato per lo zio Caligola - molto inviso alla classe aristocratica (tra i quali i suoi principali biografi, Svetonio e Tacito).
L'immagine di tiranno che di lui è stata tramandata viene parzialmente rivista dalla maggioranza degli storici del XX secolo i quali ritengono che non fosse né pazzo - come lo descrissero alcune fonti - né particolarmente crudele per l'epoca, ma che i suoi comportamenti autoritari fossero simili a quelli di altri imperatori non giudicati allo stesso modo.[4] Negli ultimi anni della sua vita la paranoia di Nerone si accentuò ed egli si rinchiuse in sé stesso e nei palazzi dedicandosi all'arte e alla musica[5], in pratica lasciando il governo nelle mani del prefetto del pretorio, il sanguinario Tigellino.[6]
Anche se il suo comportamento ebbe certamente eccessi violenti e stravaganze, si può dire che non tutto ciò che gli venne imputato dagli storici coevi sia vero: ad esempio fu accusato del grande incendio di Roma, con l'obiettivo di ricostruire la città ed edificare la propria maestosa residenza, la Domus Aurea; di tale fatto tuttavia gli studiosi moderni tendono a discolparlo.[4] Nerone accusò dell'incendio i cristiani, che furono arrestati e condannati in massa.[7][8] Infine, qualche anno dopo, abbandonato anche dai pretoriani e dall'esercito, venne deposto dal Senato (che riconobbe il generale Galba come nuovo princeps) e, dopo un primo tentativo di fuga, alla fine, vistosi perduto, si tolse la vita nei pressi di Roma, nella villa di uno dei suoi liberti.[9]