Presidenza di Richard Nixon | |
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Stato | Stati Uniti |
Capo del governo | Richard Nixon (Partito Repubblicano) |
Giuramento | 20 gennaio 1969 |
Dimissioni | 8 agosto 1974[1] |
Governo successivo | Ford 9 agosto 1974 |
«È stato probabilmente il presidente più discusso e il solo ad essere costretto alle dimissioni per evitare la prigione. Certamente fu uno dei più disinvolti nella scalata al potere e nella sua difesa dopo averlo raggiunto: discutibile sul piano morale, viene valutato positivamente dal punto di vista politico... Nixon evitò in tal modo la condanna, ma non il disonore[2].»
La presidenza di Richard Nixon ebbe inizio il 20 gennaio del 1969 con la cerimonia inaugurale e relativo insediamento e terminò prematuramente il 9 agosto del 1974, quando Nixon fu costretto a dimettersi di fronte alla prospettiva di un procedimento d'impeachment, dall'esito quasi certo, avviato nei suoi confronti con l'intenzione di farlo rimuovere dall'incarico a seguito dello scandalo Watergate.
Gli succederà Gerald Ford, all'epoca vicepresidente degli Stati Uniti d'America (designato da appena nove mesi dopo le dimissioni presentate da Spiro Agnew), dando così il via alla sua breve presidenza.
Esponente di rilievo del Partito Repubblicano, Nixon entrò in carica assumendo le sue piene funzioni a seguito delle elezioni presidenziali del 1968 in cui aveva sconfitto Hubert Humphrey, l'allora vicepresidente incumbent della presidenza di Lyndon B. Johnson. Quattro anni dopo, alle elezioni presidenziali del 1972 riuscì a ottenere la ricandidatura e la rielezione per un secondo mandato in una vittoria schiacciante contro lo sfidante del Partito Democratico, George McGovern.
Nixon, 37º presidente degli Stati Uniti d'America, aveva preso il posto di Lyndon B. Johnson; quest'ultimo aveva lanciato la Grande società, tutta una serie di programmi nazionali finanziati e gestiti direttamente dal Governo federale. Al contrario la nuova amministrazione sostenne un modello di programma interno denominato "Nuovo federalismo", fondato essenzialmente sulla devolution, che prevedeva che ampi strati di potere centrale fossero devoluti all'iniziativa dei singoli Stati federati.
La creazione dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente, il passaggio della Endangered Species Act of 1973 (legge sulle specie a rischio) e l'integrazione razziale del sistema d'istruzione pubblica degli Stati del Sud, sono solo alcuni degli atti prodotti durante la sua presidenza, così come l'aver posto termine al progetto militare della coscrizione obbligatoria e la realizzazione finale del programma Apollo, con cui gli Stati Uniti riusciranno con successo a far sbarcare sulla Luna un equipaggio di astronauti americani con l'Apollo 11.
L'obiettivo primario del presidente mentre rimase in carica si concentrò nelle questioni inerenti alla politica estera, note nella loro generalità con la denominazione di dottrina Nixon; essa richiese l'assistenza indiretta agli alleati nell'ambito della guerra fredda e attuò la "Vietnamizzazione" nella guerra del Vietnam che sono gli esempi più notevoli.
Nixon perseguirà la distensione con la Repubblica Popolare Cinese attraverso la sua visita in Cina del 1972, sfruttando in tal modo la divisione emersa dalla crisi sino-sovietica e alterando significativamente la natura della contrapposizione in blocchi diametralmente contrapposti tra NATO e patto di Varsavia. Il presidente firmerà anche il Trattato anti missili balistici e il SALT I, due importanti accordi sul controllo degli armamenti con l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Tuttavia i successi ottenuti, sia negli affari esteri sia in politica interna nella sua qualità di presidente, verranno in larga parte offuscati dagli scandali che coinvolsero la sua amministrazione e soprattutto dalla torbida vicenda dello scandalo Watergate. Le continue clamorose rivelazioni che proseguirono per oltre due anni sugli aspetti più oscuri della vicenda e le sensazionali registrazioni audio segrete delle conversazioni riservate alla Casa Bianca, svelarono tutto il sistema di potere di Nixon, basato su attività illegali di spionaggio, ostruzionismo e sabotaggio contro i suoi presunti avversari politici. Nixon si trovò costretto a dimettersi dall'incarico dopo che il Congresso aveva avviato contro di lui un procedimento di messa in stato d'accusa in relazione alle rivelazioni scaturite dall'inchiesta relativa al "Watergate"; rimane a tutt'oggi l'unico presidente a essersi dimesso nella Storia degli Stati Uniti d'America.
Per quanto riguarda l'eredità da lui lasciata, lo storico Stephen Ambrose ha scritto: "Nixon voleva essere giudicato in base a ciò che aveva compiuto e ciò per cui sarà più ricordato è l'incubo che l'ha messo alla prova fin all'inizio del secondo mandato, oltre che per le sue dimissioni"[3]. Nella classifica storica dei presidenti degli Stati Uniti d'America viene generalmente valutato in una posizione medio-bassa.