«Il protezionismo è nel caso migliore una vite senza fine che mai smette di girare.»
Il protezionismo è una politica economica interventista perseguita da uno stato o da un gruppo di stati per proteggere e favorire i propri produttori nazionali dalla concorrenza dei produttori stranieri. È una forma di regolamentazione del commercio estero di un paese. Il protezionismo si oppone al libero scambio (il cui principale risultato attuale è la globalizzazione del commercio) e alla teoria del vantaggio comparato.[1]
Le misure protezionistiche consistono essenzialmente nel limitare le importazioni straniere (barriere doganali, quote di importazione, regolamenti governativi, norme tecniche o sanitarie), nell'incoraggiare le esportazioni (sussidi vari, incentivi fiscali, svalutazione monetaria), nel favorire le imprese nazionali negli appalti pubblici o nell'impedire agli investitori stranieri di prendere il controllo delle imprese nazionali.[1]
Discriminando le importazioni, la gente sarebbe meno propensa a comprarle perché diventano più costose. L'obiettivo è che comprino invece prodotti locali, stimolando così l'economia del loro paese. Le politiche protezionistiche fornirebbero quindi un incentivo per espandere la produzione e sostituire le importazioni con prodotti nazionali (Industrializzazione per sostituzione delle importazioni).[2] Si suppone che riducano la pressione della concorrenza estera e il deficit commerciale. Possono anche essere utilizzati per correggere i prezzi artificialmente bassi di alcuni prodotti importati, a causa di "dumping", sovvenzioni all'esportazione o manipolazione della valuta.[2]
Ci sono diverse posizioni sull'efficacia delle politiche protezionistiche: gli economisti classici e neoclassici, che sono a favore del libero scambio, sostengono che il protezionismo ha un impatto negativo sulla crescita e sui livelli di ricchezza. Sostengono anche che i deficit commerciali non sono un problema perché il commercio è reciprocamente vantaggioso.[3] Gli economisti protezionisti sostengono che gli squilibri commerciali sono dannosi. Per esempio, John Maynard Keynes, che si allontanò dal libero scambio nei primi anni '30, notò che i paesi con deficit commerciali indeboliscono le loro economie. E i paesi in surplus si arricchiscono a spese degli altri. Keynes credeva che le importazioni dai paesi in surplus dovessero essere tassate per evitare squilibri commerciali.[4][5]
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :03
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatore J.M. Keynes, free trade and protectionism