«Il legame tra la famiglia Agnelli e la Juventus, suggellato dai cinque scudetti dei primi anni 1930, tuttavia ha posto le basi per quello che sarà il calcio italiano nella seconda metà del secolo passato. Che farà appunto della squadra bianconera la "fidanzata d'Italia", la regina indiscussa del nostro football, amatissima da milioni di tifosi da nord a sud della Penisola, riferimento obbligato per qualsiasi tipo di riflessione sul nostro calcio.»
Il Quinquennio d'oro, anche noto come Quinquennio o la Juventus del Quinquennio, è il periodo storico di cinque anni della società calcistica italiana Foot-Ball Club Juventus[2] compreso nella prima metà degli anni 1930, in cui monopolizzò il calcio tricolore, stabilendo un record durato per le successive ottantadue stagioni.
Composta da calciatori di rilievo, tra i quali Gianpiero Combi, il capitano Virginio Rosetta, Umberto Caligaris, Giovanni Ferrari e Felice Borel, assieme agli oriundi Luis Monti, Renato Cesarini e Raimundo Orsi, la Juventus divenne la prima formazione nella storia del calcio italiano a vincere cinque campionati nazionali consecutivi, titoli conquistati tra il 1930-31 e il 1934-35, essendo per ciò premiata dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) con la Coppa Umberto Meazza nel 1939.[3] Contemporaneamente raggiunse le semifinali della Coppa dell'Europa Centrale per quattro anni consecutivi, confermandosi una delle migliori squadre continentali del periodo interbellico.[4][5]
Allenatore della Juventus in quattro delle cinque vittoriose stagioni fu Carlo Carcano, uno dei fautori del Metodo,[6] mentre molti giocatori di quella compagine andarono a formare il nucleo della rappresentativa nazionale italiana che si aggiudicò le vittorie nella Coppa Internazionale, progenitrice sia del campionato d'Europa sia della Coppa Rimet.[7] Nel pieno di tale periodo, importante anche per l'enorme impatto sociale che aveva generato[8] — e che la fece diventare la prima entità sportiva italiana con una tifoseria di carattere «nazionale» oltreché un tassello di rilievo nella costruzione di un'identità di nazione[9] —, la società torinese inaugurò nel 1933 lo stadio Municipale.[10]