Rugby a 15 femminile | |
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Fase di gioco tra Francia e Italia al sei Nazioni femminile 2014 | |
Federazione | World Rugby |
Inventato | XIX secolo, Regno Unito |
Numero di praticanti | ~ 2 400 000 |
Componenti di una squadra | 15 |
Contatto | Sì |
Indoor/outdoor | Outdoor |
Campo di gioco | |
Campione mondiale | Nuova Zelanda (2021) |
Il rugby a 15 femminile (in inglese women’s rugby union; in francese rugby à XV féminin) è la classe di competizione del rugby a 15 relativa alle praticanti donne. È amministrato da World Rugby che, dal 1998, organizza la massima competizione internazionale della disciplina, la Coppa del Mondo.
Benché formalizzato intorno alla fine degli anni settanta del XX secolo con la nascita dei primi club e sviluppatosi nel decennio successivo (il primo incontro internazionale della disciplina avvenne nel 1982), a lungo se ne ascrisse la nascita al 1917, data di un incontro femminile di beneficenza il cui unico nome noto era quello della gallese Maria Eley (benché esistano resoconti di un incontro di football, verosimilmente con il codice del rugby, giocato tra donne a Liverpool nel tardo XIX secolo[1]). Nel XXI secolo la scoperta di un diario di memorie di Emily Valentine — giovane britannica proveniente dall’attuale Irlanda del Nord che a circa 10 anni disputò un incontro in una squadra di studenti insieme ai suoi fratelli — retrodata la prima esperienza femminile documentata a circa il 1887.
A tutto il secondo decennio del XXI secolo i Paesi dove la disciplina è maggiormente diffusa e praticata sono Nuova Zelanda, Stati Uniti, Inghilterra (tutte e tre vincitrici di almeno un'edizione di Coppa del Mondo), Galles, Irlanda, Francia, Scozia, Italia e Spagna.
Dal punto di vista regolamentare non esistono differenze rispetto al gioco maschile: il rugby a 15 femminile si disputa con le stesse regole, lo stesso equipaggiamento e su un terreno delle stesse dimensioni di quello degli uomini. Secondo la più recente stima di giugno 2018, World Rugby dichiarava circa 2 400 000 praticanti di sesso femminile, equivalenti a circa un quarto dei praticanti totali del periodo[2].