Con schiavoni (plurale di schiavone, dal latino medievale sclavus, propriamente "prigioniero di guerra slavo", da cui anche schiavo)[1] si indicavano i popoli slavi che abitavano le coste e l'entroterra dell'Adriatico orientale, area un tempo nota come Schiavonia,[1] dunque essenzialmente le genti di lingua serbo-croata.
Il territorio nel quale si insediarono gli slavi durante il VI e VII secolo fu sostanzialmente quello compreso tra il fiume Drava a levante e il Monte Nevoso a ponente, esteso poi, a mezzogiorno, dalla Macedonia fin oltre lo spartiacque dinarico giungendo a ridosso delle città dalmate del litorale e delle principali isole, mantenutesi latine.
Col passare del tempo il termine cominciò però ad assumere anche altri significati, sia parzialmente legati ancora all'indicazione dei popoli slavi, sia in maniera indipendente da questo concetto, poiché vi furono talvolta ricompresi pure gli albanesi, di origine non slava.[senza fonte]
Nel Medioevo e nei secoli successivi vi furono numerosi insediamenti di "schiavoni" nelle campagne tra Marche, Abruzzo, Molise, Campania e Puglia, creati da esuli in fuga dalle invasioni turche: ivi esistono infatti ancora due comuni che conservano tale denominazione (Ginestra degli Schiavoni nell'alta Campania e San Giacomo degli Schiavoni nel basso Molise), mentre in tre altri centri molisani (Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise) si parla un antico dialetto di origine croata. Accanto al tema delle colonie slave dell'Italia meridionale, e del Molise in particolare, vi è quello ricchissimo delle numerose Confraternite religiose che gli Schiavoni fondarono in area italiana nel corso dei secoli.