Gli Sciti (in latino Scythi; in greco antico: Σκύθης?, anche Σκύθοι; persiano Saka) furono una popolazione iranica di nomadi attestata nella steppa eurasiatica dal XIX secolo a.C. al IV secolo dell'Era cristiana.[1][2][3] Gli antichi greci li consideravano mitologicamente figli di Eracle ed Echidna, o di Zeus e Boristene.
Le relazioni tra i popoli residenti in questa vastità di regioni non sono oggi chiare e il termine "Sciti" è stato utilizzato in senso a volte ampio a volte specialistico. Gli archeologi moderni parlano di "Sciti" quali esponenti della "Cultura scito-siberiana" senza implicazioni etnico-linguistiche[4], tanto che il termine "scitico" finisce per[5] "descrivere una fase di diffusione del nomadismo montato, caratterizzato dalla presenza di specifiche armi, finimenti e un'arte basata su placche metalliche zoomorfe"[N 1]. Il territorio più occidentale toccato dal fenomeno nell'Età del ferro è quello che gli antichi greci chiamarono "Scizia", circoscrivendo così l'uso del termine "Sciti" a identificativo di coloro che abitavano quell'area ove erano parlate le lingue scitiche.
Gli Sciti furono tra i primi a padroneggiare l'impiego bellico della cavalleria:[6] allevavano mandrie di cavalli e armenti, vivevano in tende montate su carri e combattevano armati d'arco e frecce dalle loro selle.[7] Svilupparono una ricca cultura caratterizzata da opulente sepolture, raffinata metallurgia e un brillante stile artistico.[8] Nel VIII secolo a.C. razziarono (pare) l'impero cinese della dinastia Zhou[9] e, poco dopo, si spostarono a ovest, raggiungendo le steppe pontico-caspiche dalle quali espulsero i Cimmeri.[10] All'apice del loro potere, gli Sciti dominavano la totalità delle steppe eurasiatiche[11][12], dai Carpazi a ovest fino alla Cina centrale (Cultura di Ordos) e alla Siberia meridionale (Cultura di Tagar) a est,[4][13] creando quello che è stato definito il primo impero nomade dell'Asia centrale, sebbene si trattasse di una compagine che ben poco aveva di "statale".[10][14]
Secondo lo storico greco Erodoto, gli Sciti chiamavano sé stessi "Scoloti",[15] nome derivato da quello di uno dei loro re, tale Skules. Di conseguenza, gli Sciti chiamavano se stessi "Skula"[16]. Erodoto sostiene inoltre che i Persiani chiamassero gli Sciti "Saka".[17][18] Attraverso lo studio di nove iscrizioni persiane, Oswald Szemerényi ha riscontrato che in due di queste gli Sciti occidentali erano chiamati dai Persiani Sakā tyaiy paradraya e Saka paradraiya[19] in una, gli Sciti orientali sono chiamati Sakā haumavargā e tigraxaudā.[20] In un'altra iscrizione, è utilizzato il termine "Saka" sempre in riferimento agli Sciti orientali[21] oppure Sakaibiš.[22] Assiri ed Ebrei trassero il nome aškuza/iškuza tramite gli Sciti stessi dopo l'invasione del Medioriente, da cui deriverebbe il nome originario Skuza, pressoché identico al greco Σκὺθης,[19] mutuato dal prototipo iraniano *Skuδa-, il cui significato originario non era "cacciatore di scalpi" o "pastore".[23] Questo nome si formò dalla radice *skeud-, "gettare, tirare", traslata anche nelle lingue germaniche (cfr. con l'inglese shoot); il suo significato sarebbe pertanto "arciere", come del resto confermato dalle fonti storiche che fanno dell'abilità con l'arco un tratto fondamentale degli Sciti.[24] Sebbene gli antichi Persiani, gli antichi Greci e gli antichi Babilonesi usassero rispettivamente i nomi "Saka", "Scita" e "Cimmero" per tutti i nomadi delle steppe, i Saka che abitavano la steppa eurasiatica settentrionale e orientale e il bacino del Tarim devono essere distinti dagli Sciti europei, e il nome "Scita" è usato specificamente per i membri occidentali delle culture scite, mentre il nome "Saka", noti come Saci, è usato specificamente per i loro membri orientali.[25]
Errore nelle note: Sono presenti dei marcatori <ref>
per un gruppo chiamato "N" ma non è stato trovato alcun marcatore <references group="N"/>
corrispondente