Una scrittura bustrofedica è una scrittura che non ha una direzione "fissa" ma procede in un senso fino al margine scrittorio e prosegue a ritroso nel senso opposto, secondo un procedimento "a nastro", senza "andare a capo" ma con un andamento che ricorda quello dei solchi tracciati dall'aratro in un campo. L'etimologia della parola ricorda infatti l'andamento di un bue durante l'aratura (dal greco antico βουστροφηδόν?, boustrophēdón, a sua volta da βοῦς, bous, "bue" e στροφή, strophḗ, "voltura, inversione", dal verbo στρέφειν = "girare, invertire", più -δόν = suffisso avverbiale di modo che sta per "alla maniera di").[1]
Una caratteristica della scrittura bustrofedica è quella di "ruotare" anche la forma delle lettere, che hanno quindi forme speculari a seconda che il senso proceda da destra verso sinistra o viceversa (oppure - anche se il caso è più raro - dall'alto in basso o viceversa). È questo il motivo per cui questo genere di scrittura è piuttosto frequente soprattutto nei documenti antichi: col tempo ogni scrittura ha avuto la tendenza a fissare un unico senso della scrittura e un'unica forma delle lettere.
Un esempio di scrittura bustrofedica è quella usata dagli antichi abitanti dell'isola di Pasqua. Tale scrittura è detta rongorongo e consiste in segni intagliati su tavolette di legno rinvenute in molti casi nei pressi dei moai e che, al momento, nessuno è ancora riuscito a decifrare completamente.
Tracce di questo tipo di scrittura sono state ritrovate anche nel Nord dell'India e in alcune zone del Perù, quali Tiwanaku. Un esempio di pergamena in caratteri bustrofedici proveniente dall'Armenia pre-storica è visibile nelle raccolte della biblioteca dell'isola di San Lazzaro degli Armeni (Venezia).
Anche arcaiche scritture degli Etruschi sono composte con il sistema bustrofedico.
Un esempio più recente di scrittura bustrofedica si trova nella produzione artistica di NOF4, pseudonimo di Fernando Nannetti, paziente dell'ospedale psichiatrico di Volterra negli anni '60. Le sue opere consistono principalmente in incisioni sulle pareti dell'ospedale e il suo metodo di scrittura, quando la parola era troppo lunga, non prevedeva l'andare a capo bensì curvare verso la riga successiva e proseguire così fino al margine successivo.