Verbi incoativi

Nella lingua italiana, vengono detti verbi incoativi - impropriamente, per analogia col latino - quei verbi della terza coniugazione (-ire) che ampliano, o che possono ampliare, il paradigma desinenziale ordinario con l'interfisso -isc- tra radice e desinenza, alla 1ª, 2ª, 3ª e 6ª persona dell'indicativo presente, del congiuntivo presente e dell'imperativo. Si tratta di un fenomeno caratteristico solo della terza coniugazione, e presente nella stragrande maggioranza[1] dei suoi verbi.

La denominazione, affermatasi nella grammatica tradizionale, è però impropria perché in italiano l'interfisso -isc- non è portatore di alcun significato proprio, in grado di conferire all'azione espressa dal verbo un aspetto incoativo (cioè di inizio dell'azione). Si tratta di una funzione che in latino aveva l'interfisso -sc-, di cui -isc- è erede e da cui sì trae tale denominazione, ma che in italiano non conserva valore semantico proprio: infatti, non vi è alcuna differenza tra nutro e nutrisco. Esistono soltanto, in rarissimi casi, alcune sfumature di significato che la tradizione letteraria ha assegnato in via preferenziale al paradigma in -isc- piuttosto che a quello ordinario, nei verbi che li ammettono entrambi, ma si tratta comunque di variazioni che non conferiscono all'interfisso un valore semantico proprio.

  1. ^ La percentuale di verbi "incoativi" della terza coniugazione è intorno all'80-85%; dato desumibile anche dalle seguiti liste di verbi in -ire: verbi in -isc-, verbi che ammettono -isc-, verbi che non ammettono -isc-.