William Wordsworth

William Wordsworth

William Wordsworth (Cockermouth, 7 aprile 1770Rydal Mount, 23 aprile 1850) è stato un poeta britannico.

Assieme a Samuel Taylor Coleridge è ritenuto il fondatore del Romanticismo e soprattutto del naturalismo inglese, grazie alla pubblicazione nel 1798 delle Lyrical Ballads (Ballate liriche), primo vero e proprio manifesto del movimento in Inghilterra[1]. L'amico Coleridge vi contribuì con La ballata del vecchio marinaio (The Rime of the Ancient Mariner), che apriva la raccolta nella prima edizione (chiusa da Tintern Abbey). Benché il poema postumo The Prelude (Il preludio) di Wordsworth sia considerato il suo capolavoro, sono in realtà le Ballate liriche ad influenzare in modo determinante il paesaggio letterario ottocentesco.

Il carattere decisamente innovativo della sua poesia, ambientata nella cornice suggestiva del Lake District, nel nord del Cumberland, sta nella scelta dei protagonisti, personaggi di umile estrazione tratti dalla vita di tutti i giorni, e di un linguaggio semplice e immediato che ricalca da vicino la loro parlata[2].

Da considerare di eguale (se non maggiore) importanza per la letteratura romantica inglese è la Prefazione alla raccolta aggiunta all'edizione del 1802, di fatto un vero e proprio saggio critico in cui sono esposte le idee-cardine della poetica romantica[1].

Wordsworth, Coleridge e Southey, che si ispirarono alla medesima cornice paesaggistica dei Laghi, furono denominati "poeti laghisti" (Lake Poets). Iniziatori di quello che è passato alla storia come romanticismo etico (17981832), essi ne costituirono la prima generazione, mentre nella seconda si possono annoverare George Gordon Byron (17881824), Percy Bysshe Shelley (17921822) e John Keats (17951821)[1]. Il romanticismo più tardo (1832 1875), persa la spinta rivoluzionaria e innovativa dei predecessori, ripiega generalmente su posizioni moralistico–didattiche (a cui può riferirsi anche l'ultimo Wordsworth): per questo esso è ritenuto parte del compromesso vittoriano.

  1. ^ a b c Thomson e Maglioni, p. 134.
  2. ^ Thomson e Maglioni, p. 149.